italiano 3 - Life in Space | Audio Guide

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“Non importa né il Paese né il sistema politico di provenienza: lo spazio ci unisce tutti.”
Valentina Tereshkova
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APOLLO-SOJUZ: LA PRIMA MISSIONE INTERNAZIONALE
Grazie al programma test Apollo-Sojuz, l’Unione sovietica e gli Stati Uniti decisero di comune accordo di agganciare una capsula dell’Apollo a una navicella Sojuz. Questa missione storica, che ha avuto luogo nel 1975, vide come protagonisti gli astronauti Tom Stafford, Vance Brand e Deke Slayton, e i cosmonauti Valerij Kubasov e Aleksej Leonov, primo uomo a eseguire un’attività extra-veicolare. Insieme i due Paesi svilupparono l’hardware necessario a collegare in sicurezza i due veicoli precedentemente incompatibili e procedere allo svolgimento di operazioni congiunte. Gli equipaggi completarono le esercitazioni sia nell’Unione sovietica che negli Stati Uniti.

TUTA SPAZIALE DI ALEKSEJ LEONOV
Aleksej Archipovič Leonov è stato un cosmonauta russo e primo uomo che, il 18 marzo 1965, uscì dalla capsula in cui stava viaggiando e rimase nello spazio per 12 minuti e nove secondi a svolgere attività extra-veicolari. È morto nel 2019 all’età di 85 anni. Leonov fu uno dei venti piloti dell’aviazione militare sovietica selezionati nel 1960 per diventare i primi cosmonauti. Come tutti i suoi colleghi, anche Leonov fece parte del Partito comunista dell’Unione sovietica. Un altro grande traguardo che raggiunse durante la sua carriera fu diventare il comandante della componente russa della missione congiunta Apollo-Sojuz. Questo è il progetto della tuta indossata durante la missione. Con un vantaggio di soli tre mesi, Leonov batté l’astronauta Ed White e divenne il primo essere umano a uscire nello spazio. La capsula Voschod era pilotata da due persone, proprio come la Gemini degli Stati Uniti.
Un momento ad alta tensione si verificò quando Leonov cercò di rientrare nella capsula: la tuta si era gonfiata e non gli permetteva di passare dall’apertura. Dovette sgonfiarla, depressurizzandola e mettendo a rischio la propria vita.

SEDILE DEL RAZZO RUSSO “SOJUZ”
Questo è il sedile del razzo sovietico “Sojuz”. Gli astronauti dovevano trascorrere due giorni all’interno di questa minuscola cabina prima di raggiungere la Stazione spaziale internazionale. La forma e i sistemi di ancoraggio dei sedili della navicella Sojuz non sono cambiati molto dagli anni ‘70. Per la loro realizzazione, si prende un calco della schiena dell’astronauta e lo si utilizza per produrre lo schienale, così che ciascun membro dell’equipaggio abbia il proprio sedile su misura.

RADIOFARO “KORMAR” DI SOPRAVVIVENZA DEI COSMONAUTI SOVIETICI
Il radiofaro sovietico "KOMAR", che in russo significa “zanzara”, aiutava le squadre di recupero a individuare i cosmonauti dopo il riatterraggio. Il nome del trasmettitore radio ricorda il rumore del segnale emesso una volta attivato. Il cono arancione gonfiabile può essere intravisto sulle lunghe distanze dopo la determinazione, da parte dei radar, delle coordinate del radiofaro. Questa strumentazione fu utilizzata dai primi cosmonauti delle navicelle sovietiche quando atterravano molto lontano dall’area prevista di recupero.
Il radiofaro ha un design interessante: il corpo è piuttosto pesante e il suo cono arancione può essere gonfiato tramite aria pressurizzata contenuta in un palloncino speciale, che il cosmonauta può rilasciare tirando un apposito elemento di rilascio. Dal momento che contiene l’antenna, il cono, una volta gonfiato, resta in posizione verticale, che è la migliore per la trasmissione di segnali radio.

DISTRIBUTORE DI ACQUA E SUCCO PER COSMONAUTI DELLA PRIMA STAZIONE SPAZIALE SOVIETICA “SALJUT”
Questo è il distributore di bevande per cosmonauti realizzato per la Saljut, la prima stazione spaziale orbitale. Il dispositivo è dotato di due bocchette denominate “ACQUA” e “SUCCO” e chiuse da valvole speciali. Quando i cosmonauti collegavano il distributore alle loro borracce personali, dovevano premere sulla valvola per trasferire il liquido a loro scelta (acqua o succo) nei contenitori. È inoltre fornito di un interruttore di accensione e spegnimento, nonché di una spia.
Il distributore fu progettato per essere integrato nell’arredo interno della stazione spaziale. La copertura anteriore può essere aperta per rivelare una pompa di gomma a mano collegata a un tubo, nonché un adattatore cilindrico per il collegamento alle borracce personali dei cosmonauti e una varietà di valvole interne.
Questo distributore fu creato per una riproduzione a terra della stazione spaziale, così che i cosmonauti potessero studiarne il funzionamento prima della missione.

INDUMENTO DI RAFFREDDAMENTO PER EVA (Extra-vehicular activity) DELLA TUTA ORLAN UTILIZZATA DAI COSMONAUTI RUSSI
Questo indumento serviva a raffreddare la tuta spaziale Orlan D utilizzata nel 1979 da Valerij Rjumin per accedere alla stazione spaziale Saljut 6 durante i suoi 175 giorni di volo orbitale. Questa tuta fu un caso unico, perché venne riportata sulla Terra dallo spazio per controllare le condizioni del cablaggio ed effettuare dei test addizionali. L’indumento può essere utilizzato in combinazione a tute munite di controlli termici automatici o manuali; è realizzato in tessuto retato a maglia intrecciato con i tubicini elastici del sistema di raffreddamento. È molto aderente, così da premere i tubi contro alla pelle del cosmonauta, mentre la struttura a rete del tessuto facilita il passaggio dell’aria di ventilazione. I principi operativi e le soluzioni progettuali di base sono gli stessi applicati nelle versioni precedenti della tuta. Ciascun indumento veniva realizzato su misura per ciascun cosmonauta.

CHI È STATO L'ASTRONAUTA PIÙ GIOVANE DELLA STORIA?
La persona più giovane a raggiungere lo spazio fu un cosmonauta, German Titov. Quando affrontò il suo primo volo nel 1961 mancavano cinque settimane al suo ventiseiesimo compleanno.




L’astronauta più giovane a raggiungere lo spazio fu Sally Ride, nel 1983. Aveva 32 anni e tre settimane. Tra i cosmonauti che hanno viaggiato nello spazio, ben quindici erano più giovani di Sally Ride.





CUFFIA DI COMUNICAZIONE DI TITOV
Apparteneva a German Stepanovič Titov, il secondo uomo a volare nello spazio e il primo a trascorrere 24 ore all’interno della sua capsula. Si contese il primo volo spaziale con Jurij Gagarin, benché alla fine vinse quest’ultimo.

VIDEOCAMERA SPAZIALE RUSSA
Gli ingegneri sovietici furono i primi a installare delle videocamere su una navicella spaziale, ottenendo le prime immagini della faccia nascosta della Luna, nonché dalla superficie lunare e di Venere. Le navicelle spaziali interplanetarie sovietiche utilizzavano fotometri lineari a spazzata o cicloramici piuttosto che videocamere televisive Vidicon. Durante le missioni americane successive, la videocamera panoramica del modulo di atterraggio Viking e la fotocamera a spettroscopia lineare del programma Mars Odyssey si rifacevano ai design di quelle sovietiche. Questa è una videocamera esterna Chrysolite, creata inizialmente per la stazione Mir e poi installata sull’ISS.

TUTA RUSSA “VMSK-4” PER IL VOLO AD ALTA QUOTA
La tuta russa per il volo ad alta quota VMSK-4 è molto simile al modello SK-1 indossato da Gagarin. L’SK-1 era una tuta d’emergenza e salvataggio che i cosmonauti indossavano durante le fasi di lancio e rientro. La cosa interessante è che persino i primissimi modelli erano dotati di un sistema di raccolta delle urine, così che i cosmonauti non avessero bisogno di toglierseli quando dovevano andare in bagno. In caso di depressurizzazione della cabina, per fare un esempio, la tuta avrebbe fornito supporto vitale per cinque ore.
La VMSK-4 è la versione sviluppata negli anni seguenti, progettata per dotare i membri dell’equipaggio che si trovassero a svolgere operazioni ad alta quota ciascuno del proprio sistema di supporto vitale. Questa è dotata di due pannelli laterali in gomma per il collo, nonché dell’etichetta originale cucita all’interno della spalla, molte tasche anteriori e due posteriori contenenti i guanti GP-2M-1, che sono attaccati al resto della tuta. Proprio come la SK-1, anche questo modello è dotato di un sistema di raccolta delle urine.

SPACE TRANSPORTATION SYSTEM
Lo Space Shuttle, o “Space Transportation System”, è stata la prima navicella creata per viaggiare nell’orbita terrestre bassa. Consisteva di tre sezioni separate: l’orbiter, in cui venivano trasportati l’equipaggio e il carico; i razzi a propellente solido e il serbatoio esterno contenente il carburante necessario per il lancio. Il programma Shuttle ha totalizzato 135 voli dal 12 aprile 1981 al 21 luglio 2011. La flotta includeva cinque orbiter: Columbia, Challenger, Discovery, Atlantis ed Endeavour. Il programma oltrepassò i limiti dei viaggi spaziali con equipaggio umano grazie al dislocamento e alla riparazione del telescopio spaziale Hubble, allo svolgimento di ricerche rivoluzionarie sulla micro-gravità e al completamento della Stazione spaziale internazionale.

CABINA DI PILOTAGGIO DELLO SPACE SHUTTLE
Il ponte di volo dell’orbiter della Space Shuttle faceva da cabina di pilotaggio del veicolo. Grazie ai comandi di controllo di sistemi elettrico, propulsivo e di supporto vitale, nonché i joystick per sterzare durante l’atterraggio, la parte anteriore dell’abitacolo costituiva il cuore della navicella. Nel corso dell’intera missione, il pilota e il comandante utilizzavano quest’area per monitorare e gestire la salute del veicolo. Il comandante sedeva a sinistra e il pilota a destra. Entrambi i membri dell’equipaggio venivano addestrati a usare tutti i sistemi dell’orbiter ed erano perfettamente in grado di farlo volare in autonomia.

CONTROLLI DI CARICO DELLO SPACE SHUTTLE
I sedili del ponte posteriore potevano essere installati durante il lancio e l’atterraggio per i membri addizionali dell’equipaggio, noti come specialisti di missione. Una volta in orbita, i pannelli e i controlli di questa sezione venivano utilizzati per gestire la zona di carico, come quelli per aprirne o chiuderne le porte, oppure i joystick per operare il braccio robotico o il Canadarm. È sempre qui che venivano installati i pannelli di controllo realizzati su misura per missioni specifiche. Includeva anche due coppie di finestre, una affacciata sul retro e utilizzata per monitorare le operazioni extra-veicolari e una posizionata sul soffitto per osservare le procedure di attracco.

CIBO SPAZIALE
Forse non hanno un aspetto molto invitante, ma sono comunque bilanciati, sani, facili da preparare e ancora più semplici da conservare per periodi molto lunghi e in condizioni estreme: si tratta dei menù degli astronauti, piatti high-tech formulati dagli esperti degli Space Food System Laboratories della NASA.
In questi laboratori, nutrizionisti, fisici e astronauti si confrontano con le molte sfide poste dall’alimentazione spaziale sin dagli anni ‘60. Sì, perché nell’ISS non è possibile accendere i fornelli e quindi cucinare nel vero senso del termine: tutti i pasti sono preparati in precedenza e poi disidratati, anche per ridurne il peso e le dimensioni. Quando gli astronauti si accomodano a tavola, tutto quello che devono fare è aggiungere acqua calda o fredda alle loro pietanze per riportarle al loro stato naturale. Senza contare che l’assenza di gravità non permette loro di affidarsi ai sensi del gusto e dell’olfatto, quindi tutti i cibi devono essere conditi con delle salse speciali per aumentarne il sapore. Inoltre, c’è anche il problema del confezionamento, che deve essere effettuato con grande cura per garantire che resista alle condizioni estreme incontrate nello spazio.
Tutto deve essere tenuto sotto vuoto: se anche una piccolissima quantità di ossigeno dovesse penetrare all’interno degli involucri, il contenuto ne verrebbe compromesso e reso immangiabile. I processi di disidratazione e di sterilizzazione a freddo a cui devono essere sottoposti gli alimenti contribuiscono inoltre a privarli della maggior parte delle loro vitamine e minerali, ed è per questo che gli astronauti devono integrare la propria dieta con una varietà di pillole colorate, in modo da assicurarsi di assumere tutti i nutrienti fondamentali.

CI SONO OGGETTI CHE GLI ASTRONAUTI NON POSSONO PORTARE NELLO SPAZIO?
Un esempio è un panino. Durante il volo della Gemini 3, Wally Schirra aveva passato di nascosto a John Young un panino alla carne in scatola prima del lancio. Purtroppo, non appena Young cominciò a mangiarlo, le briciole presero a fluttuare per tutta la capsula.
L’episodio fece notizia e scatenò un’inchiesta congressuale, una volta concluso il volo.
Ma la NASA sapeva già che il pane rientrava tra gli alimenti banditi dallo spazio, e proprio per questa ragione: le briciole, infatti, potrebbero finire negli occhi dell’astronauta o dentro ai sistemi elettrici delle capsule. Quindi, il pane non è incluso nei cibi spaziali.
Persino in un video del 2014 pubblicato su YouTube si vede un astronauta prepararsi uno spuntino con il burro d’arachidi e, invece che una fetta di toast, una tortilla. E sì, ora hai scoperto perché i burrito sono considerati un cibo spaziale: perché la farina con cui è fatta la tortilla non si sbriciola.

CHI È STATO A INVENTARE I PRIMI ALIMENTI PER GLI ASTRONAUTI?
È un’ottima domanda: non siamo in grado di dire esattamente chi, per primo, abbia pensato di creare degli “alimenti spaziali”. Nel 1961 Jurij Gagarin mangiò il primo alimento in tubetto durante il suo volo orbitale. I primi voli suborbitali della Mercury statunitense avvennero poco dopo, ma durarono troppo poco da consentire di svolgere esperimenti col cibo. Nel 1962 John Glenn fu il primo americano a volare attorno alla Terra e, durante le sue tre orbite, anche lui mangiò della salsa alla mela da un tubetto (e sì, bevve un liquido arricchito con delle vitamine da un contenitore spremibile che poi sarebbe stato commercializzato con il nome “Tang”).
Gli alimenti consumati durante le missioni della Mercury includevano purea di frutta, budini e zuppe basate sulle razioni militari, riconfezionate in “tubetti del dentifricio” per facilitarne il consumo e ridurre al mimino le probabilità di far volare in giro delle particelle di cibo, che avrebbero potuto danneggiare i componenti meccanici ed elettrici delle capsule. E, benché non sia possibile trovare fonti specifiche, ha senso pensare che anche i pasti in tubetto utilizzati dai sovietici abbiano avuto origini simili.
La parte interessante riguarda i primi alimenti solidi creati per lo spazio. Si trattava di “cibi spaziali a cubetti” essiccati a freddo, formulati da una squadra capitanata da Howard Kauman, un dipendente della Pillsbury Foods. Il loro primo viaggio nello spazio avvenne durante il volo orbitale del 1962 di Scott Carpenter (circa tre mesi dopo la missione di Glenn), ma non poterono essere consumati per dei problemi con il confezionamento, che portarono Carpenter a esprimere una certa preoccupazione in merito alla dispersione potenziale di briciole.
Durante le successive uscite della Mercury, si sperimentò con diversi metodi di confezionamento, benché i tubetti rimasero uno standard. Più tardi sui voli della Gemini vennero trasportati sia tubetti che alimenti disidratati o essiccati a freddo (contenuti in confezioni che consentivano la reidratazione con il minimo rischio di dispersione di particelle), prodotti dall’esercito statunitense e dalla Whirlpool Corporation. La prima occasione di consumo fu durante la missione Gemini 3, e inizialmente vennero reidratati con acqua fredda o tiepida, dal momento che quella calda non sarebbe diventata disponibile fino alle missioni dell’Apollo.
Si dice che, durante le missioni della Mercury e della Gemini, furono trasportati diversi alimenti “illeciti” e non autorizzati in segreto (barrette di cioccolato, un panino alla carne in scatola [che non fu consumato per le preoccupazioni legate alle briciole] e alcuni altri oggetti personali), ma non vi sono fonti che confermino la veridicità di queste storie (a parte quella sul panino).
Alla fine degli anni ‘60 gli alimenti essiccati in cubetti cominciarono a essere commercializzati in un formato leggermente diverso come “Bastoncini spaziali”, e la Pillsbury capitalizzò sul ruolo svolto durante i programmi Mercury e Gemini.
Anche in questo caso, non ci sono fonti sulla versione sovietica degli alimenti disidratati, ma probabilmente furono sviluppati a livello interno dall’agenzia spaziale dell’Unione e si basarono anche loro su razioni militari.

TUTA SPAZIALE LES – Space Shuttle
La tuta spaziale LES (Launch Entry Suit), anche nota come “tuta color zucca”, è stata una tuta parzialmente pressurizzata indossata da tutti i membri dello Space Shuttle durante le fasi di ascesa e rientro dei voli dall’STS-26 (1988) all’ STS 65 (1994). Fu sostituita in occasione del volo STS-88 con il modello ACES.
La tuta veniva prodotta dalla società David Clark Company a Worcester, in Massachusetts.
La tuta LES fu inizialmente indossata dai piloti dell’aviazione militare statunitense per rimpiazzare un modello simile usato dai piloti SR-71 e U-2, ed era identica a quella dei piloti X-15 e degli astronauti della Gemini.
Benché ciascuna tuta venisse realizzata su misura, poteva comunque essere indossata da astronauti di altezza differente. Includeva un paracadute e un dispositivo di galleggiamento.

SALLY RIDE: LA PRIMA DONNA AMERICANA NELLO SPAZIO | GENNAIO 1981
Citazioni:
“Ho scoperto che la metà delle persone amano l’idea di andare nello spazio e non c’è bisogno di spiegarle niente. L’altra metà non riesce a capire il punto e non c’è modo di spiegarle niente. Se ne ignorano il motivo, non so come spiegarglielo.”
“Le stelle non appaiono più grandi, ma sono più luminose.”
“Il sogno ha preso vita.”
 
― John Young
dopo l’atterraggio della STS-1


“Chiunque si ritrovi seduto sul più grande sistema alimentato a idrogeno e ossigeno al mondo, sapendo che stanno per accendervi sotto una scintilla, e non provi neppure un po’ di preoccupazione, potrebbe non aver chiara la situazione.”

― John Young
quando gli fu chiesto se fosse nervoso quando ha fatto volare il primo Space Shuttle nel 1981

QUALE MISSIONE DEL PROGRAMMA SPACE SHUTTLE HA AVUTO L'IMPATTO PIÙ SIGNIFICATIVO?
Per poter rispondere, bisogna chiedersi: l’impatto su cosa? Tutto il programma Space Shuttle ha avuto un grosso impatto sul nostro modo di pensare alle tecnologie impiegate e al modo in cui si raggiunge lo spazio. Ha anche contribuito risultati spettacolari in campo scientifico, permettendo agli astronauti di svolgere esperimenti in micro-gravità che, altrimenti, non si sarebbero potuti effettuare sulla Terra.
Lo Space Shuttle ha permesso agli Stati Uniti e a dozzine di Paesi partner di costruire la Stazione spaziale internazionale, che ha avuto un successo incredibile e ha portato a risultati scientifici sbalorditivi, oltre a consentire di sperimentare tecnologie spaziali d’avanguardia, sviluppare nuovi metodi di produzione e studiare gli effetti del viaggio spaziale sul lungo periodo, per citare uno tra i molti esperimenti biologici svolti.
Il mio impatto “preferito” fu che lo Space Shuttle consentì agli astronauti di riparare e apportare migliorie al telescopio spaziale Hubble, fondamentale per le attività di osservazione.

CUFFIA SNOOPY – Alan Bean
Uno dei problemi riscontrati durante la preparazione ai viaggi spaziali fu come consentire agli astronauti di comunicare mentre indossavano le tute. Avevano bisogno di dispositivi di comunicazione all’interno del casco per tenersi in contatto sia con i controllori di missione che con gli altri membri dell’equipaggio. La soluzione è ancora in uso oggi: gli astronauti indossano una specie di cuffia munita di cuffie e microfoni, che permette loro di inviare e ricevere comunicazioni quando viene indossata.

GIUBBOTTO DI SALVATAGGIO DELL’APOLLO - Jim Irwin
Le capsule Sojuz della flotta russa non atterravano in mare ma, piuttosto, sulle steppe siberiane, impattando al suolo come proiettili. Occasionalmente, poteva capitare di perdere i contatti e, qualora la perdita di segnale durasse qualche ora o addirittura diversi giorni, i cosmonauti erano equipaggiati con una varietà di oggetti per garantirne la sopravvivenza nell’immensità dei deserti asiatici: un set di razzi di segnalazione per rendere visibile la propria posizione, un giubbotto di salvataggio in caso di deviazione della capsula e atterraggio in mare, oltre a un kit di sopravvivenza contenente razioni e altri strumenti di base come torce, coltellini svizzeri e così via.
 
Gli astronauti americani, invece, erano sempre muniti di giubbotto di salvataggio, perché il loro modulo di comando atterrava sempre nel mare.

MATTONELLA DI CONTROLLO DELL’ORBITER OV-102 (SPACE SHUTTLE COLUMBIA) DELLA NASA
Il sistema di protezione termica (Thermal Protection System, TPS) dell’orbiter costituì un’innovazione rivoluzionaria durante l’era spaziale: il suo successo avrebbe infatti portato alla creazione del primo veicolo spaziale riutilizzabile, lo Space Shuttle Columbia.
Il TPS è realizzato applicando una varietà di materiali alla superficie esterna dell’orbiter al fine di proteggerlo durante l’esposizione a temperature estreme, in particolare durante il rientro nell’atmosfera terrestre. La struttura in alluminio del veicolo era piuttosto vulnerabile e non sopravviveva a temperature superiori a 175 °C. I materiali del TPS rappresentavano l’unico sistema di difesa a sua disposizione: durante il rientro, permettevano alla navicella di sopportare temperature che andavano dai -156 °C dello spazio profondo ai quasi 1.650 °C raggiunti durante il passaggio nell’atmosfera in discesa. L’installazione delle mattonelle del TPS su ciascuno Space Shuttle non rappresentava solo una delle fasi più importanti dell’assemblaggio dell’orbiter, ma anche una particolarmente complessa.
Questo reperto veniva utilizzato dai tecnici come riferimento per garantire l’accuratezza dei propri calcoli durante la realizzazione dell’OV-102 Columbia. Le mattonelle di controllo, come quella qui esposta, venivano prodotte su misura per essere installate temporaneamente sul corpo dell’orbiter, permettendo di testarne le dimensioni e la forma e determinare la configurazione di tutte le mattonelle effettive.

MATTONELLA DI PROTEZIONE TERMICA DELLA NAVICELLA BURAN. GLI ANNI ‘80
Venne utilizzata sulla navicella Buran come elemento di protezione termica. È una mattonella in ceramica realizzata per lo space shuttle sovietico Buran, nato nel tentativo di replicare il programma Space Shuttle sviluppato dagli americani. La navicella compì un singolo viaggio nel 1988, senza equipaggio, dopodiché il programma venne interrotto. Per anni si è speculato su quanto simile fosse il Buran ai modelli americani.
Proprio come nel caso degli shuttle statunitensi, anche i sovietici utilizzarono tre tipi di materiale per proteggere la navicella dalle temperature estreme raggiunte durante il rientro: i bordi frontali della fusoliera e delle ali erano rinforzati in fibra di carbonio; il lato inferiore della fusoliera era protetto da mattonelle nere; mentre la parte superiore da mattonelle bianche in ceramica. Proprio come nel caso del sistema TPS americano, anche le mattonelle sovietiche erano associate ciascuna a un numero seriale, che permetteva di registrarne la posizione e monitorarne le prestazioni  nel tempo. Potevano tollerare fino a 1.500 °C.
Questa mattonella è molto leggera, essendo realizzata in uno speciale materiale di quarzo. Il costo di produzione negli anni ‘80 era di 500 rubli, corrispondente a due, due volte e mezza il salario di un ingegnere.

COSA CAUSÒ IL DISASTRO DELLO SPACE SHUTTLE COLUMBIA?
Un pezzo di schiuma.
Il serbatoio esterno del carburante della Columbia era ricoperto di schiuma isolante, per prevenire la formazione di ghiaccio sulla sua superficie (dal momento che conteneva idrogeno e ossigeno liquidi). Durante il lancio, un pezzo di questa schiuma si staccò e colpì l’ala sinistra. L’incidente venne notato ma non portò allo svolgimento di nessuna indagine, dal momento che non c’era molto che l’equipaggio potesse fare in merito.
Sull’argomento John Harpold, Direttore delle operazioni di missione, disse:
“Be’, non c’è niente che possiamo fare se il TPS si danneggia. In caso di danni, è meglio non farlo sapere. Penso che l’equipaggio preferirebbe non saperlo. Non pensi che sia meglio portare a termine con successo la loro missione e morire inaspettatamente durante il rientro, piuttosto che rimanere in orbita, sapendo che non c’è niente da fare, e attendere che l’ossigeno finisca?”
Durante il rientro in atmosfera, la frizione dell’aria causata dall’elevata velocità raggiunta (superiore a Mach 20) contro all’ala sinistra danneggiata portò all’infiltrazione di gas caldi nella struttura interna, distruggendola.

SACCO A PELO DELLO SPACE SHUTTLE

STS062-22-010 - STS-062 – Il pilota Andrew Allen nel sacco a pelo a bordo della Columbia

È ora di andare a dormire, ma nello spazio non ci sono letti. Piuttosto, c’è un sacco a pelo ancorato a uno dei muri della tua cabina, munito di bande elastiche. Nello spazio non c’è bisogno di dare supporto al corpo e alla testa contro alla spinta della gravità, quindi si può dormire in piedi. Si infilano le braccia nei fori e, una volta che ci si rilassa, le mani cominciano a fluttuare, tanto che gli astronauti sembrano degli zombi. Alcuni fanno fatica a dormire così, quindi incrociano le braccia o le infilano all’interno del sacco a pelo. È anche possibile accorciare le corde per dormire più vicini al muro, benché alcune persone preferiscano fluttuare in giro (con il rischio, però, di scontrarsi contro qualcosa e svegliarsi per lo spavento). La presenza delle bande elastiche e delle corde significa inoltre che ci vuole di più a liberarsi e uscire dal letto quando si deve andare in bagno di notte.
Immagine extra: lo specialista Fabian dorme in un sacco a pelo chiuso da una cerniera e fissato alla parete di tribordo del ponte centrale durante la missione del 1983.


A cosa devono la loro cattiva fama le missioni degli Space Shuttle Columbia e Challenger?
Le missioni degli Space Shuttle Columbia e Challenger sono passate alla storia perché la navicella si distrusse al momento del lancio o del rientro in atmosfera, uccidendo l’equipaggio.
Lo Space Shuttle Columbia non riuscì a completare il proprio rientro dall’orbita, disintegrandosi in migliaia di pezzi durante il passaggio in atmosfera e togliendo la vita agli astronauti Rick Husband, William McCool, Michael Anderson, Kalpana Chalwa, David Brown, Laurel Clark e Ilan Ramon.



Lo Space Shuttle Challenger non riuscì a raggiungere l’orbita. Una guarnizione O-ring di uno dei razzi SRB ebbe un guasto, provocando il collasso della navicella 73 secondi dopo il lancio e causando la morte di Francis Scobee, Michael Smith, Ronald McNair, Ellison Onizuka, Judith Resnik, Christa McAuliffe e Gregory Jarvis.



QUANDO È STATO L'ULTIMO VOLO DELLO SPACE SHUTTLE?
Sono passati 13 anni dalla fine dell’era dello Space Shuttle Atlantis della NASA. Nonostante la missione fu quasi cancellata, alla fine l’Atlantis venne lanciato l’8 luglio 2011.

QUALI SONO ALCUNE CURIOSITÀ MENO NOTE SULLO SPACE SHUTTLE DELLA NASA?
La flotta della NASA, composta da tre Space Shuttle, è andata in pensione dopo trent’anni di servizio. L’ultima missione pianificata, ovvero il lancio STS-135 dell’Atlantis, si è svolta l’8 luglio 2011. Poi, gli orbiter sono stati spostati nei musei, dove trascorreranno il resto della loro vita a disposizione del pubblico.

In saluto al servizio reso, ecco sei curiosità sorprendenti sulla missione:

  • Velocità massima
Durante la permanenza in orbita, lo Space Shuttle viaggiava intorno alla terra a circa 28.000 chilometri all’ora. Muovendosi a una tale velocità, l’equipaggio assisteva all’alba o al tramonto ogni 45 minuti.
 
  • Viaggiatore navigato
La distanza percorsa in totale da tutti e cinque gli orbiter ammonta a 826,7 milioni di chilometri, ovvero 1,3 volte la distanza tra la Terra e Giove. Ciascun orbiter, a eccezione del Challenger, ha percorso una distanza superiore a quella tra la Terra e il Sole.
 
  • Scienza spaziale
Lo Space Shuttle non è stato soltanto uno straordinario mezzo di trasporto: era anche un laboratorio. Si sono organizzate 22 missioni Spacelab in totale, durante le quali si sono svolti esperimenti scientifici, astronomici e di fisica all’interno di un modulo speciale trasportato dallo shuttle. Lo Spacelab, un laboratorio riutilizzabile costruito per l’uso durante i voli spaziali degli Space Shuttle, ha permesso agli scienziati di svolgere esperiementi in micro-gravità. A partire dal 1983, gli animali divennero protagonisti importanti degli esperimenti scientifici del Challenger. Durante la missione STS-7 si esaminarono le attività sociali delle colonie di formiche in assenza di gravità, mentre la STS-8 ebbe tra gli ospiti sei ratti, di cui si sarebbe studiato il comportamento nello spazio.

  • Scudo termico
Il sistema di protezione termica TPS dello Space Shuttle, detto anche scudo termico, era composto da più di 30.000 mattonelle prodotte sostanzialmente con della sabbia.
Tutte le mattonelle venivano accuratamente ispezionate prima della partenza, poiché erano strumenti fondamentali nel garantire la sopravvivenza dello shuttle al calore estremo sperimentato durante il rientro in atmosfera. Dopo aver raggiunto il picco di temperatura, le mattonelle si raffreddavano tanto velocemente da poter essere tenute in mano appena un minuto dopo.

  • Twit dallo spazio
L’11 maggio 2009 l’astronauta Michael J. Massimino, membro dell’equipaggio dello Space Shuttle Atlantis durante la missione STS-125, divenne la prima persona a utilizzare il sito di social network Twitter dall spazio.
Scrivendo dall’account @Astro_Mike, twittò: “Dall’orbita: il lancio è stato fantastico!! Mi sento alla grande, lavoro sodo e mi godo le viste magnifiche. L’avventura di una vita ha avuto inizio!”
Da allora, molti altri astronauti della NASA e di altre agenzie spaziali hanno pubblicato messaggi su Twitter dallo spazio. Uno in particolare, Doug Wheelock della NASA, vinse un Twitter Shorty Award nel 2013 per i post e le foto dello spazio condivise sulla piattaforma durante la sua permanenza di un mese nella Stazione spaziale internazionale.
In occasione della sua ultima missione dello Space Shuttle, tutti e quattro i membri dell’equipaggio si erano creati degli account Twitter: il comandante Chris Ferguson (@Astro_Ferg), il pilota Doug Hurley (@Astro_Doug), la specialista di missione Sandy Magnus (@Astro_Sandy) e lo specialista di missione Rex Walheim (@Astro_Rex).
L’ultimo volo dell’Atlantis avvenne nel contesto della missione STS-135 di 12 giorni per la consegna di scorte vitali e parti di ricambio alla Stazione spaziale internazionale. La NASA decise di porre fine all’avventura dello Space Shuttle dopo trent’anni per lasciare il posto a un nuovo programma, che punta inviare gli astronauti nello spazio profondo per raggiungere un asteroide e altri obiettivi.

  • 209 miliardi di dollari
Il costo stimato del programma Space Shuttle della NASA, dal suo sviluppo alla sua archiviazione trent’anni dopo.

A QUESTO PUNTO, CHI È STATO O STATA L’ASTRONAUTA PIÙ INTERESSANTE DI SEMPRE E PERCHÉ?
John Young è stato la prima persona a raggiungere lo spazio sei volte (ha partecipato due volte alle missioni Gemini, Apollo e Space Shuttle), la prima persona a completare un’orbita attorno alla Luna in solitaria, il primo comandante di una missione Space Shuttle e il primo a comandare un’altra missione Space Shuttle. Nessun altro ha fatto l’astronauta tanto a lungo quanto lui: è rimasto in servizio 42 anni (dal 1962 al 2004).
John Young ha totalizzato oltre 24.000 ore all’interno di una navicella e 835 ore (35 giorni) nello spazio, 20 delle quali le trascorse a svolgere attività extra-veicolari (le cosiddette “passeggiate spaziali”) sulla Luna. Il suo record di maggior viaggi spaziali mai compiuti da una singola persona è stato battuto solo nel 2002.
John Young cominciò la sua carriera come pilota durante la Gemini III, che vedeva Gus Grissom nel ruolo di pilota comandante. Fu la prima missione degli Stati Uniti in cui due uomini raggiunsero lo spazio. Poi, nel 1966, divenne pilota comandante della Gemini 10, accompagnato dal pilota Michael Collins.
Nel 1969 venne selezionato come pilota del modulo di comando dell’Apollo 10 assieme a Tom Stafford (comandante di missione) e Eugene Cernan (pilota del modulo lunare). La missione fu un “giro di prova” in vista di quella successiva, l’Apollo 11.
Nel ruolo di comandante di missione per l’Apollo 16, John Young si ritrovò a balzare sulla Luna e fare il saluto alla bandiera statunitense, entrando tra le prestigiose schiere dei pochissimi che hanno messo piede sulla superficie del satellite. Assieme al pilota del modulo lunare Charles Duke, Young esplorò l’altopiano Descartes tra il 20 e il 23 aprile 1972.
Young passò definitivamente alla storia nel 1981 durante la sua quinta missione (STS-1), quando ebbe l’onore di fare da comandante della missione inaugurale del primo Space Shuttle, il Columbia. Young divenne così il primo pilota a far volare quattro diversi tipi di navicella. Nella sua ultima missione (STS-9) ricoprì ancora un volta il ruolo di comandante della Columbia, nel 1983.

EMU - La tuta spaziale dello Space Shuttle
Nota come Sistema per la mobilità extra-veicolare (Extravehicular Mobility Unit, EMU), questa tuta viene utilizzata per le attività nello spazio aperto dagli astronauti dello Space Shuttle e della Stazione spaziale internazionale. È dotata di un sistema di supporto vitale e uno di comunicazione. È come se fosse una navicella individuale: è dotata di molti componenti modulari, come il corpo superiore rigido (che include il sistema di supporto vitale portatile), il modulo inferiore e i guanti. Ciascun singolo elemento dell’EMU è disponibile in taglie diverse, che possono essere combinate per ottenere una soluzione finale su misura. Le bande rosse sono impiegate dalla squadra di controllo della missione per distinguere gli astronauti. Nella Stazione spaziale internazionale, le EMU e le Orlan (aquila di mare) russe vengono utilizzate per completare le attività extra-veicolari.


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